Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 15-21
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
At 8, 5-8.14-17
Sal 66
1 Pt 3, 15-18
Gv 14, 15-21
È in noi stessi l’oggetto della nostra fede
Il discorso dell’ultima cena nel Vangelo secondo Giovanni ritma questo tempo Pasquale e ci dice le parole più difficili a intendere del cristianesimo. In questo testo Gesù afferma che «lo Spirito Santo dimora presso di voi e sarà in voi».
Lo Spirito Santo è il Dio che dà vita al mondo, è il Dio che sta sulla terra, è il Dio che abita nell’uomo. Ogni uomo riceve, nel modo che lo Spirito conosce, lo Spirito in dono. È il Dio che sta in noi non come un «tu», ma come un «io». È il Dio che vive nel nostro desiderare, amare, soffrire, compatire, sperare, temere, vivere e morire. È il Dio che si nasconde nelle pieghe della creazione e della storia umana, che dà forma all’energia e ispirazione alla libertà umana. È il Dio che vive nella tenerezza animale, nella potenza vegetale, nella asperità della roccia. Il Dio immanente, da cui non possiamo separarci mai perché Dio non perde nulla di ciò che ha creato: il Dio che è oltre la giustizia e l’ingiustizia, la vittima e il carnefice, perché è l’estremo dell’amore divino.
Ogni fatto è un suo effetto anche se la creatura animata, inanimata, libera cammina per una strada che scontra quelle delle altre creature.
Lo Spirito Santo è l’unità di un universo percorso da una dinamica senza misura, in cui ogni realtà urta con ciò che le è contrario. Questo Dio è l’ospite del nostro cuore, è colui che è «più intimo del nostro io», il Dio che custodisce in sé il nostro volto oltre il tempo, la nostra eternità. «Voi lo conoscete» dice Gesù.
Oggi si parla di più nella Chiesa dello Spirito Santo: se ne parlava prima così poco, perché egli è il Dio della libertà: «dove c’è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà»: e ogni istituzione preferisce sempre l’obbedienza alla libertà.
Una religiosa, alla fine del secolo scorso, chiese al papa Leone XIII, di parlare dello Spirito Santo, perché in lei lo Spirito Santo lo chiedeva. Il Papa obbedì alla voce dello Spirito in Elena Guerra e fece una enciclica sullo Spirito Santo.
Dopo il concilio, non se ne parla di più. Sia nelle Chiese protestanti che nella Chiesa cattolica è sorto un movimento che ricerca i doni che lo Spirito dona dalle origini alla Chiesa: dal parlare in lingue sconosciute sotto la presenza invadente dello Spirito sino al più alto carisma, il carisma di profezia.
«Egli dimora presso di voi», ci dice Gesù nel brano di Giovanni che leggiamo in questa domenica, ormai vicina alla Pentecoste. Nello Spirito possiamo conoscere Gesù, in un modo pieno e interiore: «Io lo amerò e mi accosterò a lui».
Il cristiano è chiamato a questa esperienza della vita della Trinità, perché gli è stato donato lo Spirito senza misura e la Trinità divina è la sua patria.
Pregare vuol dire accogliere, nello Spirito che vive nel nostro io, il Cristo che ci fa, nella vita, nella società, nella storia, «altri cristi», imitatori di lui in tempi diversi dai suoi. Ciò può accadere anche nella notte della fede.
Credere vuol dire sapere che la Trinità abita in noi anche se siamo invasi dal nostro pensare e agire quotidiano. Credere vuol dire sapere che in noi pulsa la vita che crea e custodisce l’universo. Forse per questo è difficile credere: perché è in noi stessi l’oggetto della nostra fede.
È più facile adorare un Dio lontano e assoluto, è più facile la religione musulmana. Ma credere nel Dio che dimora in noi e ci trasforma in lui è il proprio della fede cristiana.
Lo Spirito è la misura che permette al cristiano di passa-re persino oltre il naturale sentimento religioso di dipendenza proprio del sacro. Ma, come dice Gesù, «ogni cosa è possibile a chi crede».
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