Pentecoste
At 2, 111
Sal 103
Gal 5, 1625
Gv 15, 2627; 16, 1215
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Nel fondo dell’anima dove l’io è più profondo alloggia lo Spirito consolatore
La festa della pentecoste fa memoria del dono dello Spirito di Dio, dello Spirito Santo, fatto dal Padre, attraverso il Figlio, agli uomini. Lo Spirito Santo è il Dio che abita nella nostra anima e nel nostro corpo e li associa alla realtà della Divinità increata. Al tempo stesso, egli è il principio in noi dell’amore che Dio ha per tutte le creature. Lo Spirito ci innalza nel mistero divino, fa sentire a noi il vento dell’eternità. Quando l’angoscia penetra il nostro cuore, lo Spirito di Dio è la voce del conforto che non abbandona mai gli uomini, essi portano il volto divino nella immensa dinamica del cosmo. La bella sequenza latina che si legge nella liturgia della messa a pentecoste ci parla dello Spirito Santo in noi.
Lo chiama «padre dei poveri», di tutti coloro che sentono in sé l’abbandono degli uomini. Lo chiama «donatore», perché dona sé stesso, diviene il nostro spirito, inonda di sé la nostra anima. Lo nomina «lume dei cuori»: nel linguaggio mistico cristiano il cuore non è il muscolo cardiaco, è la parte più profonda dell’anima, il «punto» di essa in cui diciamo «io», prendiamo coscienza della nostra realtà e identità: «proclamiamo lo Spirito Santo luce del nostro io».
Lo diciamo «consolatore» delle ferite interiori ed esteriori, di quelle che ci infliggono gli altri e di quelle che ci infliggiamo noi stessi, il «consolatore ottimo», il migliore, che non viene mai meno. E «ospite dell’anima», perché sta come un «tu», il divino altro, innanzi all’io; «refrigerio», perché l’anima ha anch’essa i suoi sensi e conosce bene il sentimento del sollievo e del ristoro; «temperie nell’ardore», misura delle passioni, «sollievo nel pianto», confortatore delle depressioni e delle angosce. Così il testo liturgico descrive la mistica, l’esperienza dello Spirito che vien fatto da ogni uomo.
Lo Spirito Santo è attratto dal bisogno umano. Là dove il nulla soffoca il cuore dell’uomo, discende lo Spirito Santo: in qualunque tempo, in qualunque spazio, in qualunque condizione. Esso è lo Spirito del Cristo perché l’azione redentrice e divinizzatrice del Cristo opera in tutta la storia, prima e dopo l’incarnazione. L’umiltà dello Spirito Santo nasconde la sua essenza sotto la sua azione. Nella fede noi possiamo conoscere la realtà dello Spirito e imparare a essere veri ospiti della sua presenza in noi.
Possiamo chiamarlo «luce beatissima» e chiedergli di riempire «l’intimo dei cuori» di noi che lo crediamo e confessiamo nella liturgia come il Dio che si dona. Gli presentiamo la nostra malvagità, la nostra secchezza, le nostre ferite, le nostre freddezze, le nostre colpe. Offriamo allo Spirito non ciò che abbiamo di migliore, ma ciò che abbiamo di peggiore, di rattristante, di sconfortevole. Non è il Dio che giudica. È il Dio che assiste, salva e consola. È così interno a noi che non possiamo rappresentarlo. E poco ci dice l’immagine della colomba, che ricorda il modo umile in cui manifestò la sua presenza nel battesimo di Gesù nel Giordano. Non lo rappresentiamo perché egli si rappresenta in noi, assume il nostro stesso volto, ci fa membri del corpo di Cristo. È il Dio della persona e della libertà. Dove c’è lo Spirito Santo, ivi c’è la libertà, afferma l’apostolo Paolo.
La libertà è il frutto ultimo dello Spirito. La libertà è la pienezza umana, ma è anche la pienezza della effusione divina. La Chiesa di Dio è chiamata a essere il luogo in cui si fa presente nella storia lo Spirito e, quindi, a esistere come il luogo della libertà: della libertà dello Spirito, che è la libertà dell’amore infinito e si manifesta non nella esaltazione di sé ma facendosi carico dei bisogni di tutti.
I volumi dei tre anni di commenti al Vangelo della domenica di don Gianni Baget Bozzo (“Buona Domenica. Commenti ai Vangeli domenicali”) sono acquistabili in libreria, sul sito delle Edizioni Dottrinari o sui siti delle maggiori catene di librerie.