21 luglio 2024
Sedicesima domenica del tempo ordinario
Ger 23, 1-6
Sal 22
Ef 2, 13-18
Mc 6, 30-34
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Il pathos della tenerezza quando Gesù intuisce che è giunta la sua ora
Forse questo testo di Vangelo di Marco, letto nella liturgia domenicale, è comprensibile solo all’interno del «dramma» del Vangelo. Il testo ci dice che Gesù è circondato dalla folla, al punto da decidere di allontanarsi, in barca con i discepoli, per raggiungere un’altra sponda del lago. Ma quando vi giunge, la folla è già là. Ed egli si intenerisce perché vede quegli uomini e quelle donne come «pecore senza pastore».
Questa espressione è carica di significato religioso e politico: vuol dire che i capi di Israele, i sacerdoti e gli scribi, gli uomini di culto e quelli della Legge, non si curano del popolo di Israele, il popolo di Dio non ha più la guida che ha diritto di avere come nazione eletta dal Signore. Gesù proclama con queste parole l’illegittimità dell’autorità di Israele.
Quello che segue nel Vangelo è il gesto supremo di sfida alle autorità di Israele: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. In sé, questo è un miracolo come gli altri. Ma altro è cacciare i demoni, guarire gli ammalati, altro fare il gesto di Mosè nel deserto, che diede al suo popolo, per intervento miracoloso di Dio, la manna e poi le quaglie. Radunare il popolo in quanto popolo, per dargli miracolosamente cibo è un gesto che pone in rilievo Gesù come principio di una nuova condizione del popolo di Dio.
Il brano che leggiamo non ci dice, se separato dal suo contesto, la drammaticità di cui è carico. È l’inizio della svolta nel ministero di Gesù. Tuttavia il testo evangelico letto, anche separato dal suo contesto, conserva un altissimo pathos: il pathos della tenerezza. Gesù sente la stanchezza dei discepoli, oppressi dalla folla, e li conduce in un luogo tranquillo. Ma la folla è anche là ed egli si intenerisce sulla folla.
Egli decide allora che è giunta la sua ora, anche se sa il dramma che la conchiude. Esso non è solo divinamente intuibile, è anche umanamente comprensibile. Chi affronta disarmato tutti i poteri soccombe. È ciò che Satana gli ha fatto comprendere umanamente nelle parole della tentazione: tutti i regni della terra sono miei, gli dice il tentatore. Ma Gesù per tenerezza entra nella sua «ora».
Questo Vangelo ci ricorda un Vangelo più noto, quello delle nozze di Cana. In esso, è Maria che esprime la tenerezza per gli ospiti che non hanno più vino. E Gesù risponde: non è ancora venuta la mia ora. Ma poi, egualmente, compie il miracolo: ha fatto venire l’ora che termina con la Passione per la tenerezza della Madre.
E così qui. Questo testo ci svela nella tenerezza di Gesù uomo la tenerezza del Verbo, la tenerezza divina. Dio non è un giudice, è un salvatore perché è un uomo che conosce il soffrire. La tenerezza divina e quella umana, il dolore divino e quello umano si mescolano nel Sacro Cuore di Gesù Cristo.
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