18 agosto 2024
Ventesima domenica del tempo ordinario
Pr 9, 1-6
Sal 33
Ef 5, 15-20
Gv 6, 51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Le parole che uniscono le Chiese
Leggiamo ora il capitolo sesto di Giovanni, uno dei testi fondamentali del Nuovo Testamento. «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Quale uomo dell’Antico Testamento avrebbe potuto accettare parole tanto incredibili? Qui appare la discontinuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, il senso in cui l’Antico Testamento è Vecchio Testamento.
Chi poteva pensare a un Dio che offriva il suo corpo in cibo e il suo sangue in bevanda, cioè la sua morte umana come dono della sua vita divina? Perché anche qui è ben evidente che Gesù si identifica con Dio. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Chi mangia la carne del Cristo ucciso ha la vita di Dio e perciò possiede nella sua carne mortale il principio della risurrezione. La divinizzazione dell’uomo mediante la morte del Messia non era in nessun modo un messaggio che un uomo dell’Antico Testamento potesse intendere.
La novità di Gesù appare qui sullo sfondo di una totale discontinuità. Tante volte l’esegesi storico critica, cioè quella che prescinde dalla fede, ha cercato di definire ciò che è proprio di Gesù, differenziandolo dal pensiero dei discepoli. Ma qui, in questa idea della morte del Messia per dare la vita divina agli uomini, vi è una tale differenza da ciò che precede Gesù che solo una innovazione assoluta, una originalità impensabile, tale da essere, rispetto all’Antico Testamento, un nuovo inizio poteva produrla. E la contrapposizione con l’Antico Testamento è fatta da Gesù stesso: «Colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Uno dei maggiori prodigi dell’Antico Testamento viene così visto come un evento minore, superato, vecchio in questo senso. Qualcuno ben più di Mosè era presente innanzi ai discepoli. Ma come potevano credere le folle, ansiose di miracoli, che avrebbero voluto il miracolo di Mosè, non essere atterriti da queste parole, che distruggevano la dimensione materiale e carnale del Vecchio Testamento, semplice «pedagogo» al Cristo, come afferma san Paolo? E infatti le folle smetteranno in questo momento di seguire Gesù. Gli stessi discepoli, gli stessi apostoli saranno tentati di abbandonarlo.
L’eucaristia è la manifestazione e la realizzazione della vita divino-umana, della vita divina comunicata agli uomini nel tempo in cui regna ancora la morte. Solo la potenza divina dello Spirito Santo, disceso sulla Chiesa nella pentecoste, poteva far nascere una comunione di uomini che avrebbe creduto in queste parole. La Chiesa è divisa, anche sul modo di celebrare l’eucaristia. Ma non su queste parole. Su di esse la Chiesa unisce tutte le Chiese.
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