1 settembre 2024
Ventiduesima domenica del tempo ordinario
Ci si può dimenticare più del Dio amore che del Dio legge
Dt 4, 1-2.6-8
Sal 14
Gc 1, 17-18.21b-22.27
Mc 7, 1-8.14-15.21-23
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Ci si può dimenticare più del Dio amore che del Dio legge
La liturgia domenicale torna al più antico dei Vangeli, quello di Marco. Il brano che si legge oggi racconta di una questione che i farisei, oppositori ebrei di Gesù in nome della tradizione orale legale di Israele, sollevano, notando che i discepoli di Gesù mangiano senza prima lavarsi le mani.
Non è un interesse igienico a muoverli: l’abluzione che essi chiedono è per la decontaminazione religiosa dagli oggetti impuri, per motivo sacro, con cui si era potuto venire a contatto. Le impurità erano o relative a pratiche interdette dalla legge ebraica, o a realtà naturali, dalla mestruazione alla morte, che sembravano «umane, troppo umane» per essere contigue a un gesto religioso come era per Israele la mensa. Non possiamo facilmente comprendere, venti secoli dopo Gesù, le preoccupazioni dei farisei, ma esse non erano banali come ci possono sembrare oggi.
Essi volevano tutelare l’appartenenza della carne del popolo ebreo al culto divino, rivestire di sacralità tutta la vita di Israele. Dio stesso aveva separato il suo popolo dagli altri popoli, dunque dalla comune condizione umana, per farne il popolo di Dio: occorreva per i farisei esprimere in ogni gesto quotidiano la sacralità di Israele, la sua appartenenza all’Altissimo.
Gesù violava non una mera consuetudine sociale, ma una tradizione religiosa che volevaesprimere un legame che andava oltre l’umano.
Gesù risponde dicendo che i farisei trascuravano i precetti della legge ebraica in favore degli altri uomini, per esempio il soccorso dovuto ai genitori, con raggiri legali, come ad esempio, offrire in voto a Dio quanto dovevano dare ai genitori e li accusa di trasgredire la legge per una loro tradizione. Rovescia la critica, ma indica ora anche la sua lettura della legge ebraica. La Legge non è rivolta ai gesti degli uomini, ma al loro cuore. Nella Bibbia ebraica il cuore è la dimensione profonda dell’uomo, il suo spirito. Gli uomini conoscono l’apparenza, Dio conosce il cuore, dice la Bibbia.
Non possiamo tradurre «cuore» con proposito o intenzione, il nostro linguaggio razionalista non ha parola corrente per indicare la parte più alta dell’anima: è la dimensione dell’anima dinanzi a cui Dio siede, il volto dell’anima rivolto verso il divino che, seguendo san Paolo, la tradizione mistica ha chiamato «Spirito». Qui l’uomo e la donna scelgono il bene o il male e Dio solo sa se l’uomo e la donna hanno veramente scelto l’amore, o hanno agito per timore o per vanità.
Da questa dimensione profonda nasce il male storico, la violenza dell’uomo sul corpo suo e dell’altro uomo; l’impurità sessuale come quella sociale: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. «Il precetto della Legge è unico: imitare Dio, amare Dio con tutto se stessi e il prossimo con tutto l’amore di Dio». L’uomo è contaminato dalla non imitazione di Dio.
Gesù guarda oltre la legge ebraica e Israele, vede tutti gli uomini e tutte le donne, creati, secondo la Bibbia, a immagini di Dio, a immagine del puro amore. È dal punto dell’anima che è in contatto con il divino che nasce il male: esso diviene violenza dell’uomo sull’uomo perché è violenza sul Dio che abita il «cuore» di ogni uomo.
Questo capitolo di Marco inizia, quindi, a indicare la novità cristiana rispetto a Israele e a delineare così il conflitto che si apre: un conflitto non banale, tra due diverse concezioni, da due diversi tempi del medesimo Dio. Per i farisei e gli scribi venuti da Gerusalemme (e Gerusalemme è il nome del conflitto nella storia di Gesù), la risposta di Gesù è la negazione del significato divino di Israele.
Per i cristiani, questo Vangelo dice che l’attenzione al «cuore», al Dio che abita in noi, lo stare in sua presenza nel quotidiano, è la lotta cristiana contro l’impurità, contro la dimenticanza di Dio. Ci si può dimenticare del Dio amore più facilmente che del Dio legge.
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