2 Febbraio 2025
Quarta domenica del tempo ordinario
Ger 1, 4-5.17-19
Sal 71
1 Cor 12, 31-13,1
Lc 2, 22-40
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Gesù cerca il puro e anonimo amore
Il Vangelo di Luca inizia il racconto del ministero pubblico di Gesù con il racconto della sua sconfitta. A Nazaret, la sua città. Egli applica a sé stesso le parole del profeta Isaia, che hanno un senso messianico, annunciano una figura che porta in sé lo Spirito di Dio e conforta i poveri e i prigionieri. Ed essi reagiscono con violenza, sino a tentare di uccidere Gesù. È l’unico caso, nel racconto evangelico, in cui il messaggio di Gesù appaia impopolare: è il popolo stesso della sinagoga di Nazaret infatti che vuole ucciderlo. La ragione sembra chiara.
In Galilea Gesù ha fatto miracoli, nella sua terra ha preteso dai suoi concittadini che accettassero le parole più provocanti (la sua autodesignazione a portatore dello Spirito di Dio, a liberatore di Israele) per fede in lui. Gesù ha chiesto a loro troppo. E forse è anche a sé stesso che dice le amare parole, quando sente che non gli credono proprio perché egli è, a Nazaret, una figura nota, incontrata, per anni, ogni giorno. Come può la vita profetica emergere dal quotidiano, senza che nessun segno l’abbia fatta presagire? La pretesa di Gesù di essere annunciato dalla Scrittura è confutata con un semplice «non è il figlio di Giuseppe questo?», che i nazaretani si rivolgono l’un l’altro.
«Nessun profeta è accolto nella sua patria», commenta amaramente Gesù. E mostra che anche essi, i nazaretani increduli, sono nella Bibbia. Erano come loro gli israeliti del tempo di Elia: ed Elia non fece, durante la grande carestia, miracoli per loro, ma a una non ebrea, una vedova di Sarepta di Sidone. E così nessun lebbroso ebreo fu mondato dal profeta Eliseo, ma Naaman il Siro.
Quegli israeliti erano increduli, eppure avevano due grandi profeti in mezzo a loro. Increduli di Dio, mentre lo veneravano: non potevano credere che Dio potesse essere così semplice da apparire in un uomo di tutti i giorni, in un compagno della loro vita quotidiana. I nazaretani erano anch’essi nella Bibbia. Erano rappresentati dai membri del popolo di Dio, che non potevano accettare la presenza di Dio nella loro vita quotidiana. Dio può essere presente a noi nascosto in un altro uomo. Ci sono, nella storia della pietà cristiana, molti racconti di Gesù che scende sulla terra e viene riconosciuto solo da chi sa accogliere l’altro uomo come un fratello: da chi sa vivere ogni uomo come il luogo in cui Dio è nascosto, guardare a ogni volto umano come un sacramento della Presenza divina.
Gesù può essere presente in molti modi, oltre che nell’eucaristia, ce lo ha ricordato il concilio, può interpellarci mediante un volto umano, in modo particolare, metterci alla prova apparendoci come nascosto. L’eucaristia è il luogo glorioso di Cristo, oggetto dell’adorazione e del culto. Ma Gesù cerca anche il puro e anonimo amore, l’amore che non ha altro oggetto che l’amore e che, per questo, può accettare la presenza divina in un volto sconosciuto e persino ostile.
Viviamo in giorni di violenza gratuita, la televisione ci trasmette episodi di questa quotidiana presenza del demonio nell’odio dell’uomo per l’uomo. Il vero esorcismo contro la potenza di colui che è omicida sin dal principio, il demonio, è appunto la gratuità dell’amore. Se i nazaretani avessero avuto amore, avrebbero ascoltato Gesù con attenzione. E allora avrebbero reso possibile ciò che il loro disamore toglie a Gesù il potere di compiere: i miracoli. Il Vangelo ci dice che la posizione interiore di chi chiede il miracolo è una condizione di esso. Nel senso che una certa innocenza e semplicità è richiesta per il segno straordinario.
I nazaretani non ebbero attenzione alla possibilità che Dio apparisse nel volto di un loro fratello. Certo, Gesù poteva non convincerli della presenza dello Spirito in lui, nemmeno con i miracoli. Ma almeno sarebbe stato possibile a Nazaret ciò che era possibile in altre parti della Galilea. Il Vangelo ricorda ai cristiani che proprio coloro che ritengono di avere domestichezza con il Signore possono essere spesso i più lontani dallo Spirito.
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