22 Ottobre 2023
Ventinovesima domenica del tempo ordinario

Is 45, 1.4-6
Sal 96
1 Ts 1, 1-5b
Mt 22, 15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo


 

Distinguere ciò che è di Cesare da ciò che è di Dio

Poche frasi del Vangelo sono tanto note quanto quella che chiude il testo letto in questa domenica: «Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Quale è il criterio per distinguere ciò che dobbiamo a Cesare da ciò che siamo chiamati a restituire a Dio?
Nessun problema ha tormentato maggiormente le coscienze cristiane nei secoli. La scelta è facile davanti al tiranno. Quante volte, e con quanta forza, i cristiani hanno scelto il martirio! E con quale amore segreto i cristiani, costretti dai musulmani o dai giapponesi, hanno calpestato tre volte il crocifisso, come veniva imposto loro! L’amore in questi casi ha compensato la fedeltà. È, però, più facile essere cristiani di fronte a un Cesare nemico che non di fronte a un Cesare amico.
Sarebbe il cristianesimo divenuto la fede di tanti popoli se il primo imperatore a convertirsi non fosse stato Costantino ma Nerone, se il Cesare folle non li avesse uccisi a migliaia sul colle Vaticano? Credo che la verità del cattolicesimo sia posta dal fatto che la Chiesa cattolica è di gran lunga la Chiesa che ha avuto il maggior numero di martiri.
Le Chiese d’oriente e le Chiese protestanti sono state Chiese di stato. Per esse Dio e Cesare sono stati sempre dalla medesima parte. La Chiesa cattolica regge male i tempi di prosperità. La Chiesa italiana ha visto la fede diminuire nel suo seno, come mai prima era accaduto, in questi cinquant’anni di cattolicesimo politico.
La condizione storica propria del cristiano non è la pace con Cesare, ma il conflitto con esso: il testimone, il martire è la figura essenziale del cristiano, come appare nell’Apocalisse. Saper vivere da cristiano i tempi di pace con Cesare è ancora più difficile che vivere i tempi di conflitto. Si richiedono modi diversi. I cristiani debbono amare tutti, anche Cesare. E questo è il senso dell’impegno cristiano in politica. Il Cristo porta nel suo cuore la compassione per l’uomo e tale è la motivazione della presenza politica del cristiano. Non può essere solo la lotta per il potere. Quando l’agire politico si riduce a questo, restituire a Dio ciò che è di Dio significa abbandonare la politica. Ha detto Gesù che a nulla vale conquistare il mondo e perdere la propria anima.
Il cristiano non è il rivoluzionario per cui la storia è un assoluto. Se il potere corrompe, (e il potere può corrompere), il Vangelo impone di buttarlo via. Non si è uomini di potere per la vita, non si invecchia di potere e nel potere: questo segno non è il segno cristiano, anche se chi lo compie di cristiano ha il nome. Gli eventi recenti della nostra storia indicano che vale per i cristiani, anche per quelli impegnati in politica, la parola del Vangelo sul sale insipido: «a nulla serve se non a essere buttato via e calpestato dagli uomini». L’Apocalisse ci insegna, in forma diversa e più rutilante, quello che un proverbio dice in forma semplice: i mulini del Signore macinano lento ma macinano fine. Ed è quello che, sia pur dopo lungo tempo, si è compiuto sotto i nostri occhi in questi giorni difficili e rari.


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