Quarta domenica d’avvento

 

Mi 5, 1-4a
Sal 80
Eb 10, 5-10
Lc 1, 39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

La madre di Gesù, l’ombra di Dio posata sulla fanciulla ebrea

Il Vangelo di questa ultima domenica d’avvento ha per centro la madre di Gesù, Maria, e la visita a Elisabetta. Appare così la protagonista del Natale: questa donna, di cui sappiamo così tanto e così poco.
Di essa conosciamo troppo poco dalla fonte evangelica, il Vangelo di Luca. Desiderava essere la madre del Messia, essa di stirpe levitica, non discendente da Giuda? Che significa quel proposito di verginità, con cui risponde al saluto dell’angelo? Come risalire, con l’ausilio delle fonti storiche, alla soggettività dì questa fanciulla ebrea?
Ciò che sappiamo è che la sua coscienza visse un sussulto inatteso, quando seppe che l’ombra di Dio si sarebbe posata su di lei, come si era posata sull’arca e abitava nel tempio: che essa diveniva Israele, il senso di Israele, la totalità di Israele. E lo diventava non come una cosa, l’arca o il tempio o come un uomo, il profeta. Lo diventava come lo diventa una donna: madre.
Dio diveniva carne e sangue e solo il corpo della donna può ricevere l’altro come fecondità. Solo la donna può offrire spazio a una creazione che continui quella umana in quella divino-umana. Come descrivere questa esperienza, in cui l’evento essenziale non era nella mente ma nel corpo in cui il possesso mistico, che l’anima conosce, scendeva sino alla più radicale corporeità del corpo?
Il mito pagano conosceva fecondità originate dal divino, perché la divina maternità fa parte della possibilità umana, perciò essa prende forma nell’immaginario umano. Ma, se la tradizione di Israele non poteva conoscere le nozze sacre, esse erano note ai popoli che l’avevano circondato, agli assiri e ai babilonesi. Nella memoria della giovane fanciulla ebrea non ci poteva essere il concetto della maternità divina, ma nel suo immaginario forse qualche traccia era rimasta di un’immemorabile e pur presente omologia tra Dio e l’uomo.
Se Dio inviava un angelo, era appunto per non rendere solo interiore la conoscenza della vergine. L’angelo poteva assumere forma visibile e non carnale, come un dio pagano. Forse anche qualcosa del paganesimo è presente in questo unico evento cristiano, fondatore del cristianesimo.
La trascendenza del Dio d’Israele e la mondanità cosmica degli dei pagani potevano essere presenti in queste uniche vere nozze sacre, in cui lo Spirito di Dio si posava su un corpo di donna e lo rendeva fecondo con la medesima donazione radicale con cui nel Nulla era esploso il mondo.
L’atto dell’incarnazione era una nuova espansione dell’atto di creazione, indicava un Dio che scendeva ancora nel più profondo di essa, più di quel che avesse fatto creando la vita, o l’anima umana. Non vi è limite al modo in cui Dio può comunicarsi, vi è un limite in cui l’uomo più riceverlo.
Maria è questo limite. La fecondità di una donna diviene una nuova attesa e imprevista manifestazione dell’effusione di Dio. Maria incinta di Dio va a visitare Elisabetta, l’incarnazione di Dio si distende sul tessuto della creazione e della storia umana. E l’evangelista Luca può scrivere le parole della gloria di Maria: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata».
Quando fu scritta questa parola, sotto un qualche imperatore romano, quelle parole erano improbabili, forse così come lo suonano oggi ai nostri orecchi, chiusi a esperienze che non siano comuni, verificabili, certificabili. Eppure è vero, tra tutte le figure del Nuovo Testamento, dopo il Cristo, nessuna persona è stata amata, invocata, venerata come la fanciulla ebrea che era divenuta incinta di Dio.
E ciò continua, nell’età tecnologica, in cui l’uomo trasforma la condizione fisica del mondo e la sua mente si rivela capace di una creatività infinita in una terra limitata. Il nostro destino è ancora legato alla storia di Maria, alla fede che vede, dopo Cristo, nella natura umana presente la divinoumanità.

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