17 Novembre 2024
Trentatreesima domenica del tempo ordinario
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Dan 12, 1-3
Sal 15
Eb 10, 11-14.18
Mc 13, 24-32
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Passato e futuro ricongiunti per non appassionarci di cose che non ci appassionano
Il Vangelo di Marco, che leggiamo in questa domenica, penultima dell’anno liturgico, tratta uno dei temi più ricchi e più complessi di tutta la rivelazione cristiana: la fine della storia umana, la sua conclusione nel ritorno glorioso di Gesù sulla terra, nella pienezza della realtà divina. La storia umana ha un termine, ci dice Marco: la risurrezione di Cristo diviene la realtà di tutti gli eletti, di tutti coloro che sono chiamati a far parte della sua divina pienezza.
Il testo di Marco non parla di giudizio, annuncia l’unione tra Dio e gli uomini nella gloria di Dio e dell’uomo. Essa comporta un mutamento nella realtà del cosmo, la venuta di Cristo è una teofania, è una manifestazione piena e totale della realtà divina nella realtà creata. La storia dei popoli cristiani è divenuta per questo desiderio della pienezza della storia, di una fine che è un fine, l’oggetto dunque di un desiderio, di un compimento. Questo testo, così difficile a comprendersi, ha dominato la storia della cristianità, persino nella forma secolarizzata di essa, che abbiamo chiamato a lungo occidente.
Un testo così umanamente incredibile e così storicamente efficace; un testo che annuncia un compimento della storia dell’umanità nell’eterno. Esso ha mutato nella coscienza umana l’asse del tempo umano, spostandone l’asse dal passato/presente, proprio delle culture pagane, al passato/presente/futuro, il modo proprio delle culture dei popoli cristiani. La società tecnologica in cui viviamo sa ormai che la vita dell’uomo sulla terra consuma la terra. Il messaggio del tempo ultimo è entrato nella coscienza comune. Tutti ora sappiamo che la speranza della storia umana è l’intervento di un evento che non è a disposizione dell’uomo. Tecnologia ed ecologia ci introducono tutte all’idea che la condizione umana, nella sua forma presente, ha un tempo limite. Il tempo storico è fisicamente limitato.
L’umanità attende una fine, anche se non avesse un fine. Per questo lo scarno testo di Marco che leggiamo in questa domenica ci porta ai nostri pensieri non abituali ma pur presenti: l’uomo ha un senso che va oltre la sua esistenza? Il creatore del senso non lo ha in sé stesso? Questa meravigliosa storia della coscienza è un evento casuale e insignificante in un piccolo pianeta nell’universo delle galassie? Il testo di Marco ha stabilito il principio che la storia ha un fine e una fine e che il fine e la fine sono la divino-umanità, Dio e l’uomo divenuti una sola realtà. Passato e futuro sono ricongiunti dall’eterno. Solo la fede può farci accettare la nostra stessa storia, il nostro modo di essere uomini.
Questo Vangelo custodisce l’essenza della nostra civiltà. Gli occhi della fede sono un dono dello Spirito Santo, che si offre alla nostra libertà, ma che ha in sé una drammatica inderogabilità. Il problema del senso della storia umana è facilmente rimovibile, ma non eliminabile. In questo tempo, nella società della tecnologia e dell’ecologia, il drammatico contrasto tra la potenza della mente umana e i limiti del pianeta terra pesano sul sentimento comune della vita. Molto di quello che facciamo è un mezzo per evadere all’esterno di noi stessi, per appassionarci di cose che non ci appassionano.
L’uomo è maggiore del pianeta terra. Per questo l’uomo ha senso solo se è chiamato a una condizione fisica e cosmica omogenea alla potenza della mente umana. Questa proposizione non è irragionevole, ma può essere pensata solo innanzi alla possibilità dei «nuovi cieli» e della «nuova terra» annunziati dalla rivelazione. È innanzi all’affiorare della coscienza del fine e della fine che il problema del divino e dell’eterno tornano in termini che non erano conosciuti prima di questa generazione. Il comunismo è stata l’ipotesi di una pienezza immanente alla storia stessa, la sua fine ripropone il problema del senso dell’uomo in termini che non appartengono alla nostra memoria. Questo Vangelo obbliga a una scelta interiore, libera ma inevitabile. E il futuro del nostro tempo dipende dalla qualità della sua speranza.
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