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Le religioni crescono oggi nella loro dimensione religiosa, cioè quella che trascende la ragione. Vi è, in questo, l’impressione che la grande avventura occidentale, che ha informato di sé il mondo in tutte le sue latitudini e culture, crei per così dire una incertezza cosmica. Il 2000 dell’Occidente corrisponde all’anno 1000 della Cristianità. Allora si pensava che il millennio del regno di Cristo sulla terra, indicato da Sant’Agostino come il tempo della Chiesa, fosse giunto al termine e che il giudizio divino si sarebbe abbattuto sul mondo. Ciò determinò conseguenze nefaste, anche a livello di persecuzione degli ebrei, perché non si convertivano e così non determinavano la fine del mondo, visto che la loro conversione era stata profetizzata da San Paolo come l’atto precedente il compimento dei tempi.
Anche nel 2000 vi è un timore cosmico, ma questo è causato dall’avventura della ragione e non dall’avventura della fede. I due tempi si corrispondono nella loro differenza. L’allarme viene da molti fattori, tra cui quello dell’impossibilità di diminuire l’effetto serra, considerato come la causa dell’aumento della temperatura del pianeta e delle conseguenze sulla vita degli uomini e dei popoli che ne seguirebbero. Ma vi è anche il tema dell’energia, quello della demografia, quello della migrazione dei popoli, delle differenze di livello tra le varie parti del pianeta. La grande avventura della ragione ha creato un mondo che sfugge ad essa e toglie all’uomo l’orizzonte entro il quale si possono comprendere i fenomeni che lo circondano e lo condizionano.
Certamente, dal punto di vista della ragione umana, erano preferibili i tempi delle utopie, anche se esse ci hanno dato guerre civili e mondiali sanguinose: democrazia e comunismo come orizzonti mondiali conferivano una idea del futuro, permettevano di pensare il presente come un cammino direzionato, come una finalità pensabile. La fine del comunismo ha complicato il pensiero umano perché ha tolto l’utopia dall’orizzonte e, paradossalmente, l’orizzonte è caduto, non c’è più stato.
Non è più possibile pensare al futuro in questo eterno presente che viene determinato dai fatti che accadono e dalle risposte che gli uomini vi danno. Ne viene una conflittualità diffusa, senza che sia possibile pensare ad una sua composizione razionale. La ragione perde i suoi diritti nel tempo che essa ha costruito, senza prevedere che le sarebbe stato così problematico immaginare il governo del mondo. La potenza della ragione è anche la sua sconfitta a pensare il mondo come razionale, appunto perché da essa costruito.
Per questo tornano le religioni, torna cioè l’idea che vi sia un progetto non umano a governare il mondo, che il rischio dello sviluppo umano sia in qualche modo soggetto a qualcosa come una Provvidenza e che il ricorso ad essa sia l’unica possibilità che ci viene offerta per continuare a sperare. Non a caso l’enciclica di Papa Ratzinger è una enciclica sulla speranza. E un pontificato come questo, così tradizionale, non sarebbe stato pensabile nella Chiesa che aveva cercato la grande intesa con il Moderno nel Concilio e nel post- Concilio; non sarebbe stato possibile se non vi fosse, nel popolo cristiano, in tutto il mondo, dentro e fuori la Chiesa cattolica, un bisogno di sperare che va oltre il timore in cui attualmente viviamo: quello di non avere soluzioni ai problemi che abbiamo creato. Anche la rinascita islamica, che non è un fatto secondario e non è solo il terrorismo, nasce dal timore che il disordine occidentale invada i popoli del Corano e che l’unica riserva di Dio nell’umanità venga travolta dalla invasione della civiltà della tecnica e del consumo.
Finita la certezza della ragione, sia nel modello democratico che nell’utopia comunista, le religioni appaiono come il simbolo dell’umanità che ha sempre cercato nel cielo il disegno che governava la terra. In ogni popolo, in ogni cultura, in ogni civiltà. L’uomo vive non di realtà, ma di simboli; sono questi che gli consentono di apprendere la realtà. È il divino il linguaggio simbolico per eccellenza, nel quale l’uomo interpreta sé stesso mediante l’altro da sé.
Il linguaggio della Chiesa non parla più di anima perché timoroso delle neuroscienze, che intendono spiegare col cervello tutta la realtà dell’uomo. Ma il loro successo sarebbe la fine dell’universo simbolico e la riduzione della storia umana alla biologia. Per questo la dimensione dell’anima ritorna nella speranza che solo il Dio che l’anima percepisce è la realtà che può salvare il mondo reale creato dall’uomo.
Gianni Baget Bozzo “Il Giornale” il 22 dicembre 2007
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