Dal Vangelo secondo Matteo 28, 16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
At 1, 1-11
Sal 47
Ef 1, 17-23
Mt 28, 16-20
Nell’attesa del ritorno la grande prova della fede
Festa dell’ascensione del Signore: questa volta il testo importante non è il Vangelo, ma la prima lettura, quella degli Atti degli apostoli. Gli Atti sono la prima storia della Chiesa: la Chiesa qui è protagonista. E questo è il dramma. Lo è per gli apostoli stessi, il fondamento della Chiesa. Perché essi non pensavano che la storia della risurrezione finisse così. Essi non si aspettavano la risurrezione, ma meno che mai si aspettavano l’ascensione.
Dopo la risurrezione, per loro doveva cominciare la manifestazione della potenza del Messia e del suo popolo, Israele. Vero, Israele lo aveva crocifisso: ma poteva il re d’Israele non portare con sé il suo popolo nel suo trionfo? Perché trionfo ormai doveva essere. A che sarebbe servito risorgere dalla morte senza dominare la terra e la vita? E corre sulla loro bocca la domanda: Signore, è adesso che fondi il regno di Israele? Infatti, che senso ha il Re Messia, vincitore della morte, se questa non è l’ora del giudizio delle nazioni, della cacciata dei romani, del tempio di Gerusalemme divenuto il tempio delle genti, di Israele riconosciuto popolo sacerdote di tutti i popoli?
No, risponde Gesù, il protagonista, qui sulla terra sarete voi: voi andrete a annunciare la mia risurrezione a tutte le genti.
Il libro degli Atti non racconta la delusione degli apostoli: Luca è uno storico gentile, nasconde i sentimenti quando essi non fanno storia. E poi lui non c’era e Paolo, il suo maestro, nemmeno.
Paolo svilupperà un pensiero in cui la croce di Gesù ha il suo senso in sé stessa: egli vi leggerà, conformemente alle parole di Gesù sull’eucaristia che egli riferisce, il sacrificio che libera gli uomini dall’ira divina e conferisce loro lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo, negli uomini, il regno di Dio. Ed è quello che Gesù dice agli apostoli.
Alla domanda: a quando il regno d’Israele? Gesù risponde: riceverete lo Spirito Santo. Il regno di Dio è Dio nel cuore dell’uomo, non la potenza di Dio nelle mani dell’uomo. E allora avviene l’ascensione.
Roman Brandstätter, uno scrittore polacco che Giovanni Paolo II ha riconosciuto come un «testimone della speranza biblica e divina», ha scritto uno straordinario romanzo su Gesù, ora accessibile in italiano.
La qualità poetica, il senso simbolico, la forza mistica gli fanno trovare parole efficaci per descrivere l’indescrivibile. Ecco il suo racconto dell’ascensione:
«Gesù si stava lentamente allontanando da essi, si alzava in alto, sempre più in alto, e questo allontanamento dal posto era contemporaneamente un rimanere sul posto, l’allontanamento era il ritorno, e anche se era lontano, era sempre più vicino, e quanto più era invisibile, tanto più era carnale e presente, e alla fine sentirono che potevano toccare la sua mano, i suoi piedi, le sue ferite, senza paura di una paralisi mortale».
La Chiesa era nata: come esperienza del Cristo crocifisso e risorto, lontano e presente. Da allora i cristiani hanno aspettato, con fervore diverso, in tempi diversi, il ritorno del Signore: solo lo Spirito di Dio poteva reggere una attesa così improbabile per la ragione. L’attesa stessa è la prova che la fede può dar di sé stessa.