Quarta domenica di quaresima
2 Cr 36, 1416.1923
Sal 136
Ef 2, 410
Gv 3, 1421
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.”E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
L’amore divino e umano può vincere le tenebre?
Gli israeliti e i serpenti
È difficile spezzare il Vangelo di Giovanni nei frammenti liturgici, mentre ciò è facile negli altri Vangeli. Ma i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono collezione di tradizioni separate, i brani che leggiamo hanno vita propria, il Vangelo è il risultato del loro collage. Il Vangelo di Giovanni è una grande opera letteraria, un bronzo fuso in un solo getto. Spezzarlo vuol dire smarrirlo. Esso è un grande pensiero che organizza con estrema attenzione tutte le sue parti, il tutto compare nel frammento, ma solo conosciuto il tutto si ritrova nel frammento la sua immagine.
Del resto, questo vale per le lettere paoline, anch’esse una grande opera di pensiero, non frammentabile come accade nell’uso liturgico. Il grande sforzo, durato tutto questo secolo, specie dopo il concilio, di rimettere il Nuovo Testamento in mano ai cristiani sembra interrotto.
Il brano del Vangelo che leggiamo in questa quarta domenica di quaresima è una delle pagine più belle della letteratura cristiana e religiosa. Esso è tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo, un membro del Sinedrio, l’organismo religioso politico che governava la Palestina giudaica sotto l’amministrazione romana: Nicodemo va da Gesù, in segreto, di notte.
Il discorso di Gesù, che è uno scorcio totale del Vangelo di Giovanni, conduce Nicodemo lungo la catechesi giovannea, legata con discrezione ai due sacramenti fondamentali: il battesimo e l’eucaristia: per conoscere il regno di Dio, dice Gesù, occorre rinascere dall’acqua e dallo Spirito, esser trapassati dallo Spirito, diventare una sola cosa con lui. Non la legge mosaica, ma lo Spirito di Dio infuso nell’uomo è l’ingresso nel Regno. Ciò vuol dire «nascere da Dio», diventare figli. Questa è una parte del discorso a Nicodemo che non leggiamo in questa domenica. Ma leggiamo il punto centrale del discorso: «Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così il Figlio dell’uomo deve essere innalzato, affinché chiunque crede abbia in lui la vita eterna». Gesù ricorda un episodio del libro dei Numeri: i serpenti affliggono gli israeliti in marcia verso la Palestina, Dio ordina a Mosè di costruire un serpente di bronzo e di porlo in posizione elevata: gli israeliti morsi dai serpenti non morranno se guarderanno il serpente.
Il riferimento alla croce è letteralmente visibile. La croce è una esaltazione del Figlio dell’uomo (il Messia), non un’umiliazione, è il segno incredibile, potente del mistero divino: chi guarda il crocifisso riceve la vita eterna, la vita di Dio. Perché? Segue la lapidaria risposta di Giovanni, il cuore della rivelazione cristiana: «Perché Dio ha amato tanto il mondo che egli ha donato il suo Figlio Unigenito, affinché nessun credente in lui perisca, ma abbia la vita eterna». Il Dio crocifisso è la manifestazione del Dio il cui amore è dolore e il cui dolore è amore. Dio è un amore crocifisso e per questo non giudicante.
«Dio non ha mandato il Figlio a giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui». Può essere il mondo salvato, senza il cambiamento degli uomini? Giovanni lascia aperto questo problema, oggi divenuto più drammatico, fisico, materiale: «Ma il giudizio è questo: la luce venne nel mondo e gli uomini amarono le tenebre più che la luce perché le loro opere erano malvagie».
Dio è nei dettagli, e lo è anche l’evangelista Giovanni: come non ricordare, a questo punto, che Nicodemo era andato da lui di notte? Un particolare insignificante, un frammento rivela il tutto: «Colui che opera la verità viene alla luce, perché appaia manifesto che le sue opere sono fatte in Dio».
«Gli uomini amarono le tenebre più che la luce»: queste parole introducono quel lamento sul destino umano che è La ginestra di Leopardi. Forse oggi abbiamo qualche motivo in più di Leopardi per temere che gli uomini preferiscano le tenebre alla luce. Può l’amore divino e umano, la luce, vincere le tenebre?
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