Trentunesima domenica del tempo ordinario
L’amore diventa la forza creativa
Mal 1, 14-2, 2b.8-10
Sal 131
1 Ts 2,7b-9.13
Mt 23, 1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo


 

L’amore diventa la forza creativa

Ancora una volta Gesù critica i più religiosi degli ebrei: i farisei. La religione ha per sua natura anche una dimensione esteriore: l’uomo manifesta il suo culto a Dio con i gesti. I gesti creano attorno all’uomo religioso il fascino del sacro, la dolce protezione del culto. Ed egli diviene così diverso dagli altri uomini, nella sua coscienza e nella coscienza altrui.

Nella società secolarizzata in cui viviamo la figura della religione non dà un particolare prestigio, certo non quanto nelle culture religiose che l’hanno preceduta. Ma per millenni il segno del sacro ha innalzato agli occhi degli uomini l’uomo che lo portava. Gesù ha un altro concetto di Dio: Dio non è solo colui che innalza, è, prima ancora, colui che si abbassa.

Dio ha amato il nulla che è la creazione prima che essa si configuri come un’opera innanzi a lui. Ha amato il «nulla» da cui le creature sono sorte: Dio creando si è coinvolto nel mondo, ha avuto innanzi a sé delle creature che ponevano con la forma propria della esistenza delle cose e della libertà degli uomini, la loro libertà, un limite al desiderio del creatore.

Il male produce il dolore, questo segno dell’esistenza, forma della coscienza umana. Dio, creando, ha fatto proprio il dolore del mondo e chiede all’amore di essere una forza creativa maggiore della stessa angoscia di esistere.

Il dolore e l’amore tolgono ogni differenza tra gli uomini: il dolore e l’amore conducono gli uomini e le donne al centro della loro esistenza, nel profondo dell’anima, nello spirito, in cui Dio custodisce la sua immagine.

Per questo Gesù chiede ai suoi discepoli di scendere nel profondo dell’uomo, dove le differenze non esistono. Non fatevi chiamare maestri e padri, dice Gesù ai suoi discepoli. Il vostro esser uomini del Regno non significhi differenza con gli altri uomini perché il Regno esiste in quella dimensione dell’uomo in cui ogni differenza è abolita. Non abbiamo seguito questo precetto: ci facciamo chiamare «maestri» e «padri» in nome della religione di Gesù.

Ma qui sorge ora una forte parola evangelica: «Il più grande tra voi sia vostro servo: chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».

Colui che si sentirà, anche religiosamente, più alto, sarà abbassato da Dio: e chi si sente più basso, anche in religione, sarà innalzato da Dio. La religione è la parola con cui Dio parla all’umanità e l’umanità parla a Dio: è il dialogo esteriore.

Ma Dio abita il cuore della persona e non smette il suo parlare sommesso: Gesù invita a andare oltre gli atti della religione per ascoltare questa continua sommessa parola del Dio che conosce l’angoscia dell’esistenza umana e la riempie della sua gloria.

 


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